I pescatori di trepang di Emilio Salgari (1896): che fu la sua culla e che dovrebbe essere anche la sua cassa mortuaria, il povero anfibio vive. Va a nascondersi in qualche fessura che diventa il suo ospitale, rifà la pelle scorticata dall'avido cacciatore ed a poco a poco il suo guscio, il quale però non sarà più così bello, né così liscio come il primo.
L'isola di Arturo di Elsa Morante (1957): Finalmente, un giorno, io credetti arrivata l'occasione, che avevo sempre aspettato, di dargli la grande prova di me! Ci bagnavamo insieme, e nuotando egli smarrì nel mare, inspiegabilmente, il suo famoso orologio anfibio, del quale andava fiero e che portava anche in acqua. Fummo assai contristati della perdita; lui guardava il mare con una smorfia di rabbia, poi si riguardava il polso nudo; e mi rispose con un'alzata di spalle quand'io mi offersi di andargli a ricercare l'orologio nei fondi sottomarini. Tuttavia, mi cedette la sua maschera subacquea; e io partii, fremendo d'ambizione e d'onore. Lui rimase a aspettarmi sulla riva.
L'isola del giorno prima di Umberto Eco (1994): Si era trasformato in una rana anziana e posata, maestosamente silenziosa. Quando sentiva le spalle stanche, per quel movimento continuo delle mani all'infuori, riprendeva more canino. Una volta, guardando gli uccelli bianchi che seguivano vociferanti i suoi esercizi, talora arrivando a picco a poche braccia da lui per afferrare un pesce (il Colpo del Gabbiano!), aveva anche tentato di nuotare come essi volavano, con un ampio movimento alare delle braccia; ma si era accorto che è più difficile tenere chiusi la bocca e il naso che non un becco, e aveva rinunziato all'impresa. Ormai non sapeva più che animale fosse, se cane o rana; forse un rospaccio peloso, un quadrupede anfibio, un centauro dei mari, una maschia sirena. |