Col fuoco non si scherza di Emilio De Marchi (1900): Qualcuno andava ripetendo accanto a lui queste sue riflessioni con voce così netta, che a un tratto si fermò per guardarsi intorno e per cercare chi veniva dietro di lui. Per un momento pensò che fosse don Malachia che tornasse anche lui per la medesima strada al Santuario. Ma non c'era nessuno. Non cessò per questo la sua meraviglia, anzi crebbe quando scorse ai piedi della cappelletta, dove diluivasi sulla neve ammucchiata la luce rossigna della lampada, un bel mazzo di rose gialle fiorite, di quelle belle rose rêve d'or che egli aveva regalate il Flora il primo giorno della sua convalescenza.
La cassaforte di don Fiorenzo di Adolfo Albertazzi (1918): Ne aveva abbastanza; finalmente non avrebbe più un centesimo di debito, con nessuno al mondo! Finalmente potrebbe spendere senza angustia per una veste (e si guardò la veste rossigna e tignosa), per un paio di scarpe (e si guardò a quelle scarpe). Finalmente potrebbe cavarsi qualche onesta voglia senza paura! No? Gli arriverebbe addosso l'Americano, suo fratello, con la solita burbanza, con la solita prepotenza, con i soliti assalti? — Che prete sei? Dove hai nascosti i quattrini che hai riscossi da Bisaccia? Dammeli! Ne ho bisogno! Li voglio! Bada!...
Ritorno di Luigi Pirandello (1923): Passato l'arco, la corte in salita, acciottolata come la strada, aveva in mezzo una gran cisterna. La ruggine s'era quasi mangiata fin d'allora la vernice rossigna del gambo di ferro che reggeva in cima la carrucola. E com'era triste quello sbiadito color di vernice su quel gambo di ferro che ne pareva malato! Malato fors'anche della malinconia dei cigolii della carrucola quando il vento, di notte, moveva la fune della secchia; e sulla corte deserta era la chiarità del cielo stellato ma velato, che in quella chiarità vana, di polvere, sembrava fissato là sopra, così, per sempre. |