Il romanzo della fanciulla di Matilde Serao (1921): Maria Gullì-Pausania entrava lentamente, col suo passo di deità olimpica: a Eva che le corse incontro degnò sorridere, offrì la guancia bruna e fredda di siciliana altiera, scambiò due o tre saluti con Tecla, con Giulia Capece e con Chiarina Althan e si mise al suo posto, con una misurata armonia di movimenti, strofinandosi la mano destra, dove una piccola macchia rossa era comparsa, respingendo indietro i polsini di tela bianca, tirando a sé il cestino del lavoro, dove marcava di rosso, cifra e numero, tutti i capi di biancheria che le sue amiche le passavano, dopo averli finiti.
Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro (1896): Ella era nata a Padova, e benché abitasse Brescia da quasi mezzo secolo, il suo dire lombardo era ancora infetto da certe croniche patavinità. Mentre Pasotti protestava, con cerimonioso orrore, di aver solamente inteso imitar la voce dell'ottimo suo vicino ed amico, l'uscio si aperse una terza volta. Donna Eugenia, sapendo bene chi entrava, non degnò voltarsi a guardare, ma gli occhi spenti della marchesa si posarono con tutta flemma su don Franco.
La luna e i falò di Cesare Pavese (1950): Irene doveva proprio averci un uomo nella palazzina, perché a volte sentivo Silvia che la canzonava e la chiamava «madama contessa», e presto l'Emilia seppe anche che quell'uomo era un morto in piedi, un nipote dei tanti che la vecchia teneva apposta spiantati perché non le mangiassero la casa sulla testa. Questo nipote, questo spiantato, questo contino, non si degnò mai di venire alla Mora, mandava a volte un ragazzetto scalzo, quello del Berta, a portare dei biglietti a Irene, diceva che l'aspettava al paracarro per fare una passeggiata. Irene ci andava. |