Il nostro padrone di Grazia Deledda (1920): — Per non sposare un contadino, essa sposò un forestiere, un capo-macchia come il tuo amico. Egli era venuto assieme col Perrò, e morì al suo servizio, in seguito alla caduta da un albero. Ora questa vedova ha una figlia, una bellissima ragazzina che sta appunto al servizio dello speculatore, ed è amica di mia nipote.
Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello (1926): E poi? Che avvenne poi, uscendo dalla sala del bigliardo? Sotto un languido fanale, nella via umida deserta, un povero ubriaco malinconico tentava di cantare una vecchia canzonetta di Napoli, che tant'anni fa, quasi tutte le sere udivate cantare in quel borgo montano tra i castagni, ov'eravate andato a villeggiare per star vicino a quella cara Mimì, che poi sposò il vecchio commendator Della Venera, e morì un anno dopo. Oh, cara Mimì! Eccola, eccola a un'altra finestra che vi s'apre nella memoria... Si, si, cari miei, v'assicuro che è un bel modo d'esser soli, codesto!
La luna e i falò di Cesare Pavese (1950): Irene lo accettò per andarsene, per non vedere più il Nido sulla collina, per non sentire la matrigna brontolare e far scene. Lo sposò in novembre, l'anno dopo che Silvia era morta, e non fecero una gran festa per via del lutto e che il sor Matteo non parlava quasi più. Partirono per Torino, e la signora Elvira si sfogò con la Serafina, con l'Emilia - non avrebbe mai creduto che una che lei teneva come figlia fosse tanto ingrata. Al matrimonio la più bella e vestita di seta era Santina - non aveva che sei anni ma sembrava lei la sposa. |