Azzurro tenebra di Giovanni Arpino (1977): «E i trigliceridi?» riattaccò Pino: «Ormai i medici non ti dicono altro. Sul vocabolario i trigliceridi non sono ancora nati. A me trovano tutto: il soffio cardiaco, il ginocchio della lavandaia, il complesso del Mackenzie-Pirupiru. Alla sera prendo uno stupidogeno e dormo. A Montecarlo gli stupidogeni non servono: aboliti: bastano i copechi. Se vedete apparire un bancario di quelli più pallidi, dell'ufficio fidi, ditemelo. Mi riconoscono anche se gli volto la schiena, quelli.»
Un sogno di Federico De Roberto (1917): All'«Hôtel du Louvre», a Parigi, ci chiesero naturalmente i nostri nomi, ma neppur io potrei ritrovarli su quel registro, perché furono nomi fantastici, inventati da lei, da lei stessa trascritti, e perché non conosco la sua scrittura. Non solamente agli altri, ma neanche a me stesso io posso più dimostrare che non sognai. Il luogo reale dove la conobbi, dove non sono più tornato, è nella mia memoria trasfigurato: se vi ho parlato di una riva incantata e d'un tempio della Fortuna, è perché Montecarlo e il Casino, da quell'unica volta che li vidi, hanno perduto i loro contorni reali nei miei ricordi, si sono annebbiati e confusi.
Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello (1904): Balzai in piedi, reggendomi al tavolino per non cadere, nell'improvviso smarrimento angoscioso: stupefatto, quasi atterrito, tesi l'orecchio, con l'idea di fuggire non appena quei due — Papiano e lo Spagnuolo (era lui, non c'era dubbio: lo avevo veduto nella sua voce) — avessero attraversato il corridojo. Fuggire? E se Papiano, entrando, aveva domandato alla serva s'io fossi in casa? Che avrebbe pensato della mia fuga? Ma d'altra parte, se già sapeva ch'io non ero Adriano Meis? Piano! Che notizia poteva aver di me quello Spagnuolo? Mi aveva veduto a Montecarlo. Gli avevo io detto, allora, che mi chiamavo Mattia Pascal? Forse! Non ricordavo... |