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Informazioni di base |
La parola j è formata da una lettera, zero vocali e una consonante. |
Frasi e testi di esempio |
»» Vedi anche la pagina frasi con j per una lista di esempi. |
Definizioni da Dizionari Storici |
Vocabolario dei sinonimi della lingua italiana del 1884 |
I, I’, J - I, è l'articolo plurale mascolino; quando ha l'apostrofo, I', è accorciatura del pronome Io. - La J è la così detta I lunga, che è consonante; la quale, accettata per tale da tutti i migliori, che al fatto non sanno contradire, è però ostinatamente rifiutata dalla Crusca. C'è tra la I e la J lo stesso divario che tra la V e la U; le quali, per cagione della Crusca, furono confuse nella compilazione de' Vocabolarii, come si è veduto continuare a fare dai pedanti, alla Crusca devoti, fino agli ultimi tempi. [immagine] |
Dizionario delle invenzioni, origini e scoperte del 1850 |
J - Questa lettera, per i Francesi, consonante, in Italiano fa l'effetto di vocale, e spesso si adopra in fine di parola invece del doppio i. Fu chiamata i d'Olanda, perchè gli Olandesi furono i primi ad impiegarla nella stampa. [immagine] |
Dizionario Tommaseo-Bellini del 1865-1879 |
J - [T.] Di questa lettera ambigua, e che, come le cose ambigue, da taluni rigettasi, s'è parlato alla I vocale, segnatam. al § 6; onde non resta che determinare meglio, al possibile, alcune cose. Anco i Lat. commutavano le due forme, facendo più prossimo a vocale il suono che più sovente par prossimo a consonante, in Etiam, Quoniam, che non si pronunziano Etjam, Quonjam. Abies, Paries trisill., nel verso contraggonsi, e delle due prime brevi si fa una lunga, e d'Abjete, Parjete, un dattilo. Altri dice che questo è in forza del metro; ma il metro non fa in altre voci violenza alla lingua: segno che la pronunzia di questa J comportava permutazione. E lo prova anco la pronunzia italiana che in Abete, Parete, togliendo del tutto il suono della I, dimostra com'essa fosse una specie d'aspirazione, da potersi a certi suoni aggiungere, ad altri levare. Attesta Quintil. che a Cicerone piaceva scrivere Aiio, Troiia; con che verrebbesi a legittimare l'uso delle due I, invece della J che chiamano consonante. Nè Virg. farebbe l'agg. Troïa dattilo, se nella pronunzia del sost. stesso non fosse un elemento di tale dieresi. Similm. la Y ora appariva vocale e ora conson.; e segnatam. gli ant. Lat. facevano Silüa per Sylva, Exsoluatur, fine d'un esametro non spondaico; perchè Solvo era il gr. Λύω, e Sylva era come un agg. di Ὕλη. Così D. 1. 2. da Doluit fa Dolve invece di Dolse; nè certamente lo osò per servire alla rima.
2. T. Del contrarre i due suoni in uno è nel lat. traccia evidente il farsi Dein monosillabo; Deinceps bisillabo. Così da Rejicere, che ha senso gen., i Tosc. fecero Recere, che in Tosc. e altrove, con vocabolo di senso meno schifoso, dicesi Rigettare. Abbiamo in Jacio, così, tutte le forme di permutazione; e la I soppressa, e la J in Jattura, e sim., e la G in Gettare, e altri tali, e la Gh in Conghiettura, come segue ne' suoni gl e gil e il, che da Glacies si fa Ghiaccio, e i Tosc. Diaccio e i Ven. Jazzo; da Vigilo, Vigilia, e i vecchi Tosc. Vilia, e noi Veglia, e il pop. tosc. Vegghia; da Filius, Filiolus, i Ven. Fio e Fiol, più prossimo al gr., i Genovesi Hijo, prossimo allo spagn., che rende l'aspirata de' Greci, tutti gl'It. Figlio, Dante, Filio, il pop. tosc. Figghiolo. T. La J gl'It. levarono a Maestà, nè la Maestà s'ebbe a male di questa che non era deminutio capitis. All'incontro l'aspirata di Heri fecesi Jeri agl'It., in modo però che la J per l'H non ha la gravità del digamma, anzi serba della aspirazione. Onde i Tosc. pronunzieranno non D'ieri, ma Di eri, facendo appena sentire la seconda I, e dando risalto a quella del segnacaso: ond'è che, per attenersi alla pronunzia, il segnacaso non va apostrofato. Deduco di qui che ne' versi antichi le parole trisill., dove questo suono entra, diventan bisill., non perchè la vocale ultima ne sia tronca, ma perchè la J n'è, aspirando, saltata. D. 1. 6. Farinata e il Tegghiajo, che fur sì degni. Petr. Cap. Ecco Cin da Pistoja, Guitton d'Arezzo, non credo s'abbiano, per fare il verso, a dire come se fosse scritto Tegghiaj', Pistoj', perchè tali troncamenti non sono secondo l'analogia della lingua; e piuttosto sarebbe da dire troncata l'intera sillaba, Tegghià, Pistò, come in Mo', Vo' troncasi Modo e Voglio. Ma il meglio è credere che gli ant. Toscani sapessero con più delicata differenza discernere l'aspirazione che tanto domina nelle lingue antiche, e che gli organi vocali, impressi di quella, ne serbassero, per dir così, la memoria tuttavia. 3. T. Coll'ingrossarsi degli organi, la J è più sovente diventata G. – Varch. Pros. Fior. 2. 5. 57. La nostra lingua muta la j consonante latina insieme con la vocale che seguita, come si vede in Giulio, Giunone, ed altri tali. Gli ant. scrivevano Jove e Juno; ma forse già pronunziavano più calcato, ancorchè non in tutto come noi Giove e Giunone. Sall. Cat. Agiuto per Ajuto, come dicono i Veneti; e come tutti Giovare, che è padre d'Ajutare, talvolta illegittimo, e talvolta malmenato dallo sconoscente figliuolo. Il Già, che è tanta parte di storia e di logica e di rettorica, in certi dialetti pronunziasi quasi Ja; e così parecchie delle G a cui la I segua. Majus e Pejus, che nel comune fanno Maggiore e Peggiore, l'uno nel Veneto fa Pezo (con la Z leggiera e quasi avanzo d'aspirazione), l'altro ritiene la J nel nomignolo d'una terra lucchese, Camajore. I Lucchesi, per contr., pronunziano la J come Gli: Savoglia, Noglia. Jova nella Versilia la Ghiova o Gleba. All'incontro Appoja e Ploja gli ant. It. per Appoggia e Pioggia. Vojo e Fameja i Ven. per Voglio e Famiglia; ma in certe parlate venete si calca sul suono, Voggio, Fameggia. l Ven. Mojo per Molle, Fradicio; e a' Toscani non è punto morto Dimojare: Mogio, poi (che forse nasce di li), è vivo e vispo, com'è mestiere de' mogi. 4. T. Tocchiamo d'alcune permutazioni. In L, Luglio da Julius. Pistolese (come dicevano) da Pistorium, e oggidi Pistojese. T. Della R. Aja da Area. E molte delle uscite latine in arius fanno ajo. Nè sole le sillabe lunghe, se Vajo da Varius. T. Della B. Da Habeat, gli ant. Aggia e Haja. T. Della S, se Noja viene da Nausea, che meriterebbe d'essergli madre, piuttosto che padre Nocere. T. Gli Spagn. scrivendo Quijotte, e pronunziando con forte aspirazione, onde venne a noi il Don Chisciotte, rimasto cittadino italiano anche dopo itisene gli Spagn., dimostra quel ch'era in questa lettera d'aspirato, e come però la potesse parere or vocale e ora consonante, ora un misto d'entrambe, ora nulla, a similitudine del digamma. 5. T. Quando l'Italia sarà fatta, anco la J e tante altre cose lunghe come serpi, saprà finalmente il suo fato; cioè se destinata a convertirsi in vocale, come la scimmia in uomo perdendo la coda, a detta de' dotti increduli che credono fermamente alla nostra credulità. Per ora non c'è strumento accademico che abbia virtù di recidere questa coda; e in mezzo alle tante libertà e varietà e consonanze di cui godiamo, non si può agl'Italiani negare la libertà della J consonante. Non lo concede il nostro statuto. Altri dice che questa forma opportunamente nel mezzo divide le sillabe, che farebbero un trittongo o un quadrittongo, come, per es., Cuojajo, se le I fossero tutte vocali. Altri potrebbe rispondere che le vocali stesse non tutte hanno il suono medesimo, e nonpertanto alla medesima maniera si scrivono; che se l'H distingue il verbo Avere dal segnacaso; se l'apostrofo distingue Co', Coi, da Co, Capo, e sim., l'ortografia non ha come discernere il Se pronome (accoppiato al verbo) dal Se particella, e tante altre forme nel senso diverse, nello scritto indistinte. Non dico che le ambiguità non si debbano al possibile toglier via; dico che a forza di segni ortografici le non si tolgono tutte, anche facendo una foresta di creste e una falange di code, e difficultando l'apprendimento del leggere per troppo volerlo agevolare, come segue sempre ai cercatori delle agevolezze; dico che un po' di logica in chi scrive, e un po' di senso comune in chi legge, tien vece di molti segni, e che senza il senso comune i segni non servono. C'è chi teme non accada confusione, in sentenze simili a questa: Io, Giove, librai sulla mia bilancia il fato de' libraj e de' letterati, e quel de' letterati andò all'aria. Se per distinguere Io Giove librai da libraj ci vuol proprio la J, il mestiere de' letterati è spacciato, e tant'è che si mettano tutti a fare i libraj. Confesso che vedere rimato Io macellai co' Macellaj m'offenderebbe l'occhio se io ci vedessi; e non soddisfà alla mia mente, perchè quel segno diverso pare richiegga suono più diverso che non sia veramente. E in specie alla fine della parola non mi soddisfà quella forma di lettera che spacciasi per consonante, perchè suppone un troncamento che invero non c'è. Anche Volto nome e Volto da Volgere han suono diverso; e ben più diverso che Benefici e Nemici; e nondimeno lo scrittore si fida che i lettori non scambino le due cose. Ma Beneficj così scritto a me dá idea che abbiasi a pronunziare Benefik o almeno Benefich. Io non intendo però di sformare il casato degli Emilj veronese o d'altri sim. se ce n'è; e i nomi storici segnatam. scriverei nella forma antica, se questo a chiarezza giovasse. Ma intanto lascio fare ai tipografi, e m'assogetto al giudizio o Judicio che sio, dell'Italia futura. |
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