L'isola del giorno prima di Umberto Eco (1994): Polipi soriani, che nel loro vermicolare lubrico rivelavano l'incarnatino di un grande labbro centrale, sfioravano piantagioni di mentule albine con il glande d'amaranto; pesciolini rosati e picchiettati di ulivigno sfioravano cavolfiori cenerognoli spruzzolati di scarlattino, tuberi tigrati di ramature negricanti... E poi si vedeva il fegato poroso color colchico di un grande animale, oppure un fuoco artificiale di rabeschi argento vivo, ispidumi di spine gocciolate di sanguigno e infine una sorta di calice di flaccida madreperla...
Il deserto dei tartari di Dino Buzzati (1940): Solo gli dispiaceva di doversene andare di là con quel suo misero corpo, le ossa sporgenti, la pelle biancastra e flaccida. Angustina era morto intatto - pensava Giovanni - la sua immagine, nonostante gli anni, si era mantenuta quella di un giovane alto e delicato, dal volto nobile e gradito alle donne: questo il suo privilegio. Ma chissà che, passata la nera soglia, anche lui Drogo non sarebbe potuto tornare come una volta, non bello (perché bello non era mai stato) ma fresco di giovinezza.
Il nome della rosa di Umberto Eco (1980): Mi alzai tremando, anche perché ero stato a lungo sulle pietre gelide della cucina e il corpo mi si era intirizzito. Mi rivestii, quasi febbricitando. Scorsi allora in un canto l'involto che la ragazza aveva abbandonato nel fuggire. Mi chinai a esaminare l'oggetto: era una sorta di pacco fatto di tela arrotolata, che sembrava venire dalle cucine. Lo svolsi, e sul momento non capii cosa vi fosse dentro, sia a causa della poca luce che della forma informe del suo contenuto. Poi compresi: tra grumi di sangue e brandelli di carne più flaccida e biancastra, stava davanti ai miei occhi, morto ma ancora palpitante della vita gelatinosa delle viscere morte, solcato da nervature livide, un cuore, di grandi dimensioni. |