Il Marchese di Roccaverdina di Luigi Capuana (1901): L'Italia una, sì, gli sarebbe parsa forse una bella cosa, se non avesse portato con sé tante tasse che non lasciavano rifiatare; ma a lui, che di politica non si era mai occupato, poco importava che il re si chiamasse Franceschiello o Vittorio Emanuele. La libertà egli la capiva fino a un certo punto. Chi gli aveva dato noie nel passato? Aveva sempre fatto quel che gli era parso e piaciuto in casa sua; non cercava altro.
Leila di Antonio Fogazzaro (1910): «Il signor arciprete è sempre di buon umore, non è vero, don Emanuele?» disse la siora Bettina, alzandosi per andarsene. Ma il signor arciprete non intendeva affatto che se ne andasse e mise fuori una fila interminabile di «no no no» di «La favorissa, La favorissa, La favorissa.» Siccome in quel momento era entrata la fantesca per portar via il vassoio del caffè, don Tita le ordinò di andarsene.
Sua Maestà di Luigi Pirandello (1904): A Costanova era re; la sua casa, una reggia; teneva in campagna una numerosa scorta di campieri in divisa, ch'erano come il suo esercito; tutti gli abitanti, tranne quel pugno di buffoni capitanati dal repubblicano Leopoldo Paroni, eran per lui più sudditi che elettori; aveva una scuderia magnifica, una muta di cani preziosa; amava le donne, amava la caccia; e dunque chi più Vittorio Emanuele di lui? |