Carthago di Franco Forte (2009): Gli altri guerrieri celti gridavano il loro incitamento, chi per l'uno chi per l'altro, e non di rado scoppiavano tafferugli e scontri feroci. Ma la concentrazione generale era comunque rivolta soprattutto ai due giganti che sferravano colpi dall'apparenza letale, e che avevano il solo effetto di farli barcollare un po', mentre il sangue schizzava dalle labbra o dalle sopracciglia spaccate.
L'alfier nero di Arrigo Boito (1867): Anderssen sapeva già che, tolto l'alfiere, Tom non avrebbe più saputo continuare. V'hanno degli entomati che non sanno due volte tessersi la larva, dei pensatori che non sanno rifar da capo un concetto, dei guerrieri che non sanno ricominciar la pugna: Anderssen pensava ciò intorno al suo antagonista. Giunto al varco dove l'Americano l'attendeva, Tom non vacillò un momento, rinunciò alla posizione, sacrificò invece dell'alfiere un cavallo, costrinse l'avversario a distruggere le due regine e la partita mutò aspetto completissimamente.
Le rondini di Montecassino di Helena Janeczek (2010): Nonostante tutto il disprezzo per suo padre, quella parola a Rapata faceva male come un marchio, bruciava molto più di quando a diciott'anni si fece fare il moko sul braccio, o del commento di suo nonno la prima volta che lo vide scrutando il suo torso da poco adulto: «Va bene, Rapi, vedo che ai giorni nostri si usa così di nuovo. Però ricordati che anche ai tempi antichi i guerrieri più coraggiosi erano quelli che facevano conto sul loro mana interiore senza volerlo simulare con una corazza d'inchiostro. Noi eravamo guerrieri, lo riconobbe persino il maresciallo Rommel, e nessuno di noi era tatuato». |