Ostentare, Affettare; Ostentazione, Mostra, Iattanza, Millanteria, Tracotanza, Burbanza - L'affettare è un esagerare in qualche senso i modi nostri, o volerli indirizzare verso una forma non naturale, un tipo quasi sempre imperfetto, o che imperfettamente si contrafà: l'affettazione ha del servile. Ostentare è un voler mostrare ciò che veramente non si ha, o volere che la cosa che si ha come uno appaia come cento: l'ostentazione è vanagloriosa e superba. La mostra è d'ordinario bugiarda, o con tale un'arte disposta che, almeno dal più al meno, inganna: il mucchio, diciamo a Genova, non è mai eguale alla mostra, per dire che quello che è di dentro non corrisponde mai perfettamente all'apparenza: poi uno fa mostra sempre di ciò che in minor grado possiede, e così l'avaro di generosità, l'iroso di mansuetudine, l'epulone di temperanza. La millanteria è una vana ostentazione fatta in parole; la iattanza è superba ostentazione mostrata in atti: la millanteria consiste in vantare gesta, ricchezze, qualità illusorie; la iattanza nello sprezzare altrui con un contegno disdegnoso e quasi beffardo. La tracotanza è quasi una superbia, una prepotenza triplicata, cioè tre volte tanta; unisce l'insulto e l'azione delle mani allo spregio; la burbanza è iattanza caparbia, ombrosa, minacciosa, se non fosse ridicola. [immagine] |
Boria, Alterigia, Alterezza, Superbia, Orgoglio, Burbanza, Ambizione, Vanità, Vanagloria, Arroganza, Presunzione, Albagia, Pretensione - La boria è la manifestazione della superbia, è un rigonfiarsi per cose vane e insulse, e quel voler far trasparire negli atti esterni il merito che si ha, o la gloria che si crede ridondare su noi da vani titoli, da altezza di parentele o di aderenze, e perfino dalla grandezza della nazione a cui s'appartiene: la boria spagnuola era passata in proverbio; ora hanno ad essere più dimessi, avendo perdute le miniere del Perù e quasi ogni altra ricca possessione da cui essa prendeva il maggiore alimento. Burbanza è peggiore di boria poichè racchiude eziandio l'idea di dure parole verso di altri, e di atti insolenti. La superbia è la torbida fonte da cui tutti questi malnati sentimenti derivano: poichè la superbia è nell'intimo del cuore, è la cancrena che ne corrode la carità; e l'uomo anche più povero e in apparenza più umile può essere cordialmente e profondamente superbo. La superbia adunque, se talora pur s'appalesa nell'opere, qualche volta se ne sta nascosta, specialmente quando non può all'altezza del sentimento proprio gli atti esterni adeguare; ed è appunto allora che una certa modestia chiamasi falsa: l'orgoglio invece è superbia smascherata e palese; egli è più odioso della superbia, perchè più manifesto, perchè molte volte più vano ne' suoi motivi, e forse perchè essendo cosa tutta artificiale non ha la scusa che, come passione vera, porta con sè la superbia nell'umana fiacchezza. L'alterigia molto partecipa dell'orgoglio; questo però è più nella riflessione, quella più nel carattere; questo talora per ostentazione d'una falsa virtù propria non bada a piccole offese se gli vengon da persone di molto inferiori e ch'egli conta per nulla al mondo; questa invece di ogni cosa s'adonta, si lagna, s'accende; l'orgoglio è serio e severo, l'alterigia preoccupata, irascibile. L'alterezza fra tutte le fasi e metamorfosi della superbia è la meno dannevole: val quasi un sentir alto di sè e delle cose che ci toccano; e come il sentir bassamente può essere vigliaccheria o conseguenza di profonda depravazione, perciò una certa alterezza nell'uomo è scusabile: può essere una esagerazione di delicati sentimenti, di naturale ritrosia, cui l'uomo fornito di vera carità dovrebbe sorpassare; ma se non è sentimento virtuoso, non può dirsi neppure vizioso a tutto rigore. L'albagia è un principio di boria, un misto di vanità e di presunzione; il suono e il senso della voce alba di cui è composta induce a farmela concepire come una presunzione o vanità giovanile più compatibile che ridicola. L'ambizione è desiderio d'onore o di distinzioni onorifiche: la superbia nell'ambizione sta nascosta molto accuratamente, poichè se v'è chi ambisce onori e glorie mondane, v'è perfino chi ambisce parere umile e santo: l'ambizione sacrifica o dissimula anche l'orgoglio per giungere ai suoi fini; in questo caso può dirsi che non ha di superbo che lo scopo. Una giusta e moderata ambizione, quella che risulta dalla coscienza del vero merito, quella che non ricerca che il dovuto premio a diuturni sforzi, a faticosi studii, non solo è innocente ma è pur commendevole, e sarà uomo dappoco chi non ambisce aver fama di galantuomo e d'uomo onesto. La vanità e una vana illusione che ci facciamo circa il proprio nostro merito, e quel voler trarre vanto da cose da poco o da nulla: vanità delle vanità! come ben la definisce la Scrittura. E' difetto della mente, piuttosto che vizioso affetto del cuore; «proviene da leggerezza e da vacuità» dice Tommaseo; è il pascolo degli sciocchi che amano rigonfiarsi di vento; è lo scoglio delle donne e di quegli uomini che alle donne somigliano, per cui la forma esterna, o per meglio dire la veste è tutto, e nulla credono degno di stima in altri e in sè che la vana apparenza.
«La vanagloria è un po' men fatua della vanità: s'aggira intorno cose un po' più serie, le considera in modo più serio: è una specie d'ambizione, ma desiderosa non d'altro che della stima degli uomini. La vanagloria è men leggera della vanità, ma più innocua della superbia, dell'orgoglio; meno brigante dell'ambizione; meno ardita o audace della presunzione o dell'arroganza; si sfoga d'ordinario in parole». Tommaseo.
Il vanaglorioso troppo amante delle lodi degli uomini è capace di mentire alla propria coscienza per ottenerle; questa gloria così mercata è vana, falsa e colpevole. La presunzione deriva in gran parte dalla vanità; chi non conosce bene le proprie forze, chi travede circa i meriti proprii presume più che non può fare: se poi la presunzione è sostenuta con immoderate parole, con provocazioni, con isfrontate accertazioni di capacità, è arroganza: arrogare a sè è quasi voler credere che ci sia dovuta una cosa necessariamente; or l'uomo nulla è più disposto a negare quanto ciò che era già pronto a dare, se ne venga con arroganza richiesto: l'arrogante è adunque il meno scaltro de' superbi, degli orgogliosi, de' presuntuosi, de' vani. La pretensione non sarà biasimevole se non passerà i limiti del dovere e della giustizia: l'uomo può e deve avere la pretensione di essere rispettato; ma se avesse quella che altri lo lodasse, anche meritandolo, sarebbe uno scioccone, e per poco un pazzo. [immagine] |
Burbanza - [T.] S. f. Dimostrazione odiosa di superiorità insultante, con più o meno boria o bruschezza. Tiene anco, nel suono, del Borioso e del Brusco e del Burbero. E la B di per sè denota enfiamento d'orgoglio. Consiste più ne' modi che ne' pensieri, e ne' sentimenti. [Val.] T. Liv. Dec. 7. 11. Non menino tanta burbanza, per fare romore. E 4. 41. Chè non badò a burbanza nè a vanagloria. = Nov. ant. 61. 9. (C) N'ha gran burbanza. M. V. 8. 47. Disordinata burbanza.
2. Di quel che concerne l'ingegno. Sen. Pist. (C) Io non ti mando che tu peni d'insegnare altrui per burbanza, nè per mostrare il tuo ingegno e la tua scienza. Ivi: Filosofia non è cosa di burbanza.
3. Segnatam. delle mostre esteriori. In questo senso anco plur. [Val.] T. Liv. Dec. 9. 39. Tutte queste burbanze seguitano la vittoria. = E 4. 41. (C) Videro la gran burbanza del maritaggio, e lo grande apparecchiamento. (In questo e nel seg., non com.) Tac. Dav. Vit. Agr. 392. Volle spendere in fatiche e pericoli quel tempo che gli altri sogliono in cirimonie e burbanze.
4. † Di bestie. [Val.] T. Liv. Dec. 2. 64. Il fremitare e l'annitrire de' cavalli, che erano cavalcati da altri maestri… ch'elli non soleano, e la burbanza che elli fecero (saeviebant). |